mercoledì 7 marzo 2012

La natura della Denuncia-Segnalazione di Inizio Attività (DIA-SCIA)

Con decisione n. 15 depositata il  29 luglio 2011, il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria ha affermato che, al trascorre dei termini previsti dalla DIA,  non consegue né un provvedimento a formazione tacita (silenzio assenso), né un provvedimento a fattispecie progressiva.
      Poiché il decorso del termine in esame pone fine alla possibilità di un procedimento amministrativo di divieto, il silenzio in questione preclude all’amministrazione l’esercizio del potere inibitorio a seguito dell’infruttuoso decorso del termine perentorio all’uopo sancito dalla legge.
       Appurato che la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, "ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge", la cassazione in seduta plenaria esclude:
a) che il comportamento dell'amministrazione si riferisca all’esercizio del potere inibitorio; 
b) che il terzo interessato, decorso senza esito il termine per l'esercizio del potere inibitorio, sia legittimato a richiedere all'Amministrazione l’adozione dei provvedimenti di "autotutela" (che afferiscono a procedimenti amministrativi - quindi, per quanto detto sopra, non riferibili alla DIA-Scia); 
c) che si sia di fronte al silenzio-rifiuto maturato in ordine all’esplicazione del potere sanzionatorio di cui all’art. 21 della legge n. 241/1990.

La Plenaria ritiene dunque che la tutela del terzo controinteressato all’esercizio dell’attività denunciata sia praticabile in termini di:
  •  un’azione impugnatoria da proporre nell’ordinario termine decadenziale
  •  individuazione della decorrenza del termine decadenziale, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento;
  • inammissibilità della domanda di impugnazione "se non accompagnata dalla rituale e contestuale proposizione della domanda di annullamento del provvedimento negativo (o del rimedio avverso il silenzio ex art. 31)";
  • legittimazione del terzo ad ottenere una pronuncia che imponga all’amministrazione l’adozione del negato provvedimento inibitorio solo "ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi del comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241/1990";
  • possibilità per il terzo di esperire un’azione di accertamento volta ad evitare gli effetti lesivi derivanti dall’esercizio dell’attività nel limitato arco di tempo compreso tra il deposito della DIA e la scadenza del termine assegnato alla p.a. per intervenire;
  • impossibilità per il giudice, fino al termine di conclusione del procedimento amministrativo, di adottare una pronuncia di merito ma possibilità di assumere misure cautelari.


 IL DECORSO DEL TERMINE PER L'ESERCIZIO DEL POTERE INIBITORIO     
       Sul tema dei poteri dell’Amministrazione a seguito del decorso del termine di 30 giorni
di astensione dall’avvenuta presentazione della denuncia di inizio attività edilizia era intervenuta già  la Cassazione penale, Sez. III, con la sent. n. 33034 del 4 ottobre 2006, affermando che il decorso del termine determina la formazione tacita del provvedimento abilitativo all’esecuzione dei lavori.
      Ne derivano le seguenti conseguenze essenziali: 
  • il comune perderà il potere di notificare l’ordine di non eseguire i lavori anche se dovesse riscontrare l’assenza di una o più delle condizioni prescritte;
  • gli interessati acquisiranno il diritto a eseguire i lavori;
  • il comune potrà comunque intervenire mediante l’annullamento in autotutela del silenzio-assenso formatosi nonché mediante l’applicazione, nel caso in cui i lavori abbiano avuto inizio, delle sanzioni pecuniarie e/o ripristinatorie applicabili alla tipologia di opere eseguite;
  •  le opere eventualmente realizzate dopo la decorrenza del termine di astensione e prima dell’annullamento del silenzio-assenso da parte del comune saranno comunque sorrette da un idoneo titolo giuridico che varrà a escludere la sussistenza del reato per opere abusive.
APPROFONDIMENTI 
La Decisione del Consiglio di Stato n. 15 del  29 luglio 2011 click qui per scaricare

Tesi a confronto: titolo edilizio o attività liberalizzata?
1) gli argomenti a sostegno della definizione di "titolo edilizio".
La d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione ma rappresenta un modulo di semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire, per effetto di un’informativa equiparabile ad una domanda, un titolo abilitativo costituito da un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che si perfeziona a seguito dell’infruttuoso decorso del termine previsto dalla legge per l’adozione del provvedimento di divieto.
      Trattasi, quindi, di una fattispecie a formazione progressiva che, per effetto del susseguirsi
dell’informativa del privato e del decorso del tempo per l’esercizio del potere inibitorio,
culmina in un atto tacito di assenso, soggettivamente e oggettivamente amministrativo.
     Corollario processuale di detta tesi è l’affermazione secondo cui i terzi lesi dal silenzio
serbato dall’amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a. sono legittimati a
reagire con le forme e nei tempi del ricorso ordinario di annullamento del provvedimento amministrativo (art. 29 e 41 del codice del processo amministrativo).
       Un primo argomento a sostegno della valenza provvedimentale dell’istituto è desunto dalla previsione espressa del potere amministrativo di assumere, una volta decorso il termine per l’esplicazione del potere inibitorio, determinazioni in via di autotutela ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241/1990.
       Tale riferimento all'autotutela decisoria di secondo grado sembra presupporre, ad avviso di tale ricostruzione, un provvedimento, o comunque un titolo, su cui sono destinati ad incidere i provvedimenti di revoca o di annullamento. Come è stato rilevato, inoltre, se è ammesso l'annullamento d'ufficio, parimenti, e tanto più, deve essere consentita l'azione di annullamento davanti al giudice amministrativo (Cons. Stato, Sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550).
      Ulteriori elementi a sostegno della ricostruzione provvedimentale si ricaverebbero, con particolare riferimento alla d.i.a in materia edilizia, da alcune norme contenute nel testo unico approvato con D.P.R. n. 380/2001.
       In prima battuta, si sottolinea che il titolo II del testo unico annovera tra i “Titoli abilitativi” sia la denunzia di inizio di attività che il permesso di costruire.
       Gli articoli 22 e 23 del testo unico considerano, poi, la d.i.a. quale titolo che abilita all’intervento edificatorio. Rilevante viene considerato, in particolare, l’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, il quale stabilisce che il confine tra l'ambito di operatività della d.i.a. e quello del permesso di costruire non è fisso: le Regioni possono, infatti, ampliare o ridurre l'ambito applicativo dei due titoli abilitativi, ferme restando le sanzioni penali (art. 22, comma 4), ed è comunque fatta salva la facoltà dell'interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi assoggettati a d.i.a. (art. 22, comma 7).
      Per la tesi in esame, una simile previsione dimostrerebbe che d.i.a. e permesso di costruire sono titoli abilitativi di analoga natura, che si diversificano solo per il procedimento da seguire. 

2)gli argomenti a sostegno della definizione di "attività liberalizzata"
      Un primo profilo di debolezza strutturale della tesi del silenzio significativo con effetto
autorizzatorio è dato dal rilievo che detta soluzione elimina ogni differenza sostanziale tra
gli istituti della d.i.a. e del silenzio-assenso e, quindi, si pone in distonia rispetto al dato
normativo che considera dette fattispecie diverse con riguardo sia all’ambito di
applicazione che al meccanismo di perfezionamento. 
      Infatti, la legge n. 241/1990, agli articoli 19 e 20, manifesta il chiaro intento di tenere distinte le due fattispecie, considerando la d.i.a. come modulo di liberalizzazione dell'attività privata non più soggetta ad autorizzazione ed il silenzio assenso quale modello procedimentale semplificato finalizzato al rilascio di un titolo autorizzatorio.
      Anche la disciplina recata dagli artt. 20 e segg. del testo unico sull’edilizia di cui al citato d.P.R. n.380/2001, a seguito delle modifiche apportate dal decreto legge n. 70/2011, distingue il modello provvedimentale del permesso di costruire che si perfeziona con il silenzio assenso ed i moduli (d.i.a. e s.c.i.a.) fondati sull’inoltro di un’informativa circa l’esercizio dell’attività edificatoria.
      A sostegno dell’assunto depone, poi, la formulazione letterale del primo comma dell’art.19 della legge n. 241/1990, che, seguendo un disegno che contrappone la d.i.a. al
provvedimento amministrativo di stampo autorizzatorio, sostituisceogni autorizzazione comunque denominata con una dichiarazione del privato ad efficacia legittimante.
      La principale caratteristica dell'istituto risiede, quindi, nella sostituzione dei provvedimenti autorizzatori con un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private consentite dalla legge in presenza dei presupposti normativamente stabiliti.
      L’attività dichiarata può, quindi, essere intrapresa senza il bisogno di un consenso
dell’amministrazione, surrogato dall’assunzione di auto-responsabilità del privato, insito nella denuncia di inizio attività, costituente, a sua volta, atto soggettivamente ed oggettivamente privato.
     Trattasi, in sostanza, di attività ancora sottoposte ad un regime amministrativo, pur se con la significativa differenza che detto regime non prevede più un assenso preventivo di stampo autorizzatorio ma un controllo -a seconda dei casi successivo alla presentazione della d.i.a. o allo stesso inizio dell’attività dichiarata-, da esercitarsi entro un termine perentorio con l’attivazione ufficiosa di un doveroso procedimento teso alla verifica della sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l’esercizio dell’attività dichiarata.
     La tesi della formazione del silenzio assenso è anche incompatibile con l’avvento della s.c.i.a. In tali ipotesi la legge, infatti, consente l’inizio dell’attività prima del termine per l’esercizio del potere inibitorio e alla conseguente formazione del preteso titolo tacito. Paradossalmente ne deriverebbe un silenzio assenso con efficacia retroattiva o ad un silenzio assenso che si perfezionerebbe prima del decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio; il passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente valore di assenso ma impedisce l’inibizione di un’attività già intrapresa in un momento anteriore.
      La lettura dell’istituto in termini di provvedimento tacito di assenso non è giustificata neanche dal richiamo legislativo all’esercizio dei poteri di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241/1990.
      Con tale prescrizione il legislatore, lungi dal prendere posizione sulla natura giuridica dell'istituto a favore della tesi del silenzio assenso, ha voluto solo chiarire che il termine per l’esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e che, comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela.
      Detto potere, con cui l’amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, si applica con riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio.

La natura del silenzio dell'Amministrazione
     Il silenzio previsto dalla norma si distingue dal silenzio-rifiuto (o inadempimento) in quanto, mentre quest’ultimo non conclude il procedimento amministrativo ed integra una mera inerzia improduttiva di effetti costitutivi, il decorso del termine in esame pone fine al procedimento amministrativo diretto all’eventuale adozione dell’atto di divieto; pertanto  produce l’effetto giuridico di precludere all’amministrazione l’esercizio del potere inibitorio a seguito dell’infruttuoso decorso del termine perentorio all’uopo sancito dalla legge.
      Detto silenzio significativo negativo si differenzia dal silenzio accoglimento (o assenso) di
cui all’articolo 20 della legge n. 241/1990 perché si riferisce al potere inibitorio mentre il
silenzio assenso presuppone la sussistenza di un potere ampliativo di stampo autorizzatorio o concessorio che nella specie si è visto non ricorrere. Ne consegue che mentre nel silenzio assenso il titolo abilitativo è dato dal provvedimento tacito dell’autorità, nella fattispecie in esame il titolo abilitante è rappresentato dall’atto di autonomia privata che, grazie alla previsione legale direttamente legittimante, consente l’esercizio dell’attività dichiarata senza il bisogno dell’intermediazione preventiva di un provvedimento amministrativo.
      Va ancora osservato che la qualificazione del silenzio in parola alla stregua di atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio chiarisce la portata del richiamo dell’articolo 19, comma 3, della legge n. 241/1990 alle disposizioni di cui all’art. 21 quinquies e 21 nonies in quanto l’esercizio del potere di autotutela si traduce nel superamento della precedente determinazione favorevole al denunciante.



APPROFONDIMENTI 
Cassazione penale, Sez. III, con la sent. n. 33034 del 4 ottobre 2006
Il T.U. edilizia attribuisce al dirigente dell’ufficio tecnico, in caso di riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite, il compito della notifica all’interessato dell’ordine motivato di non effettuare i lavori ma ciò solamente entro il termine di 30 giorni dall’avvenuta presentazione della denuncia di inizio attività (art. 23, comma 6, del D.P.R. 380/2001). 
      L’effetto abilitante della denuncia, tuttavia, non è in relazione al mero decorso del tempo ma all’effettiva sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla normativa applicabile e l’amministrazione conserva quindi il potere di intervenire mediante l’annullamento del silenzio-assenso formatosi e di adottare i provvedimenti repressivi anche oltre il termine di astensione.
      Ne discende, secondo la sentenza della Cassazione, che non sarà configurabile il reato edilizio previsto per l’esecuzione di lavori in assenza di titolo solo perché gli interessati hanno continuato i lavori dopo la richiesta di integrazione documentale inoltrata dal comune successivamente al decorso dei 30 giorni.
         Dopo il decorso dei 30 giorni il comune perderà il potere di adottare l’ordine di non eseguire i lavori ma potrà comunque annullare il silenzio-assenso formatosi e applicare le sanzioni amministrative. 
        I lavori eventualmente eseguiti successivamente al periodo di astensione e prima dell’adozione dell’atto di annullamento da parte del comune saranno tuttavia sorretti
da un idoneo titolo giuridico. Ciò varrà tra l’altro a escludere la rilevanza penale delle opere e quindi la sussistenza dei reati previsti per l’esecuzione di abusi edilizi (reati disciplinati all’art. 44 del D.P.R. 380/2001). 
           Questa conseguenza è chiaramente affermata dalla sentenza in esame. Restano, invece, fermi i reati connessi alle eventuali false dichiarazioni rese nella denuncia o contenute nei documenti a questa allegati.
           La sentenza della Cassazione penale n. 33034/2006 risulta coerente con l’orientamento maggioritario della giurisprudenza  amministrativa secondo la quale, del tutto analogamente (TAR Friuli Venezia Giulia, n. 18 del 30 gennaio 2001; TAR Piemonte, n. 70 del 16 gennaio 2002; TAR Puglia, Sez. III, n. 2800 dell’8 maggio 2004; TAR Campania, Napoli, Sez. II, n. 4532 del 9 aprile 2004; TAR Veneto, Sez. II, n. 81 del 12 gennaio 2007):

  1. l’amministrazione può esercitare il proprio potere inibitorio, mediante l’adozione dell’ordine o della diffida a non eseguire i lavori, solamente prima dell’intero decorso del termine di astensione;
  2. il decorso del termine di astensione comporta il consolidamento della posizione del privato, con la conseguenza che successivamente l’amministrazione potrà intervenire in autotutela sul provvedimento tacito formatosi con la presentazione della DIA mediante annullamento dell’autorizzazione implicita nonché, se i lavori sono già stati in tutto o in parte eseguiti, mediante adozione del provvedimento di applicazione delle sanzioni di tipo ripristinatorio o pecuniario prescritte in rapporto alla specifica tipologia di opere realizzate.
           Risulta, invece, ormai superata l’interpretazione che ritiene che il decorso del termine di astensione che occorre attendere prima di procedere all’esecuzione dei lavori valga non quale periodo che determina il consolidamento della posizione del privato ma piuttosto come semplice termine di massima utile a consentire alla P.A. di verificare la ritualità della denuncia, ovverosia come termine per il compimento di una verifica preliminare circa la sussistenza delle condizioni essenziali al fine del compimento dei lavori e con la conseguenza che la decorrenza dello stesso termine di astensione consente l’inizio dei lavori, senza però impedire al comune di intervenire per inibire il prosieguo dell’attività intrapresa (posizione che si ritrova, tra l’altro, in Cons. di Stato, Sez. V, n. 308/2004, e TAR Puglia, Sez. II, n. 4950 del 13 novembre 2002).

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